L’apparizione delle prime piante di caffè risalirebbe a più di mille anni fa. Da alcune ricerche si desume la tendenza generale a situare la scoperta dell’arbusto nell’anno 858, in Etiopia, sull’altopiano abissino. I nomadi preparavano una bevanda con un decotto di frutti raccolti sugli arbusti. Il liquido così ottenuto, utilizzato come rimedio energetico e stimolante, sembrava fare a caso loro. Facevano inoltre essiccare i chicchi al sole, macinandoli poi in modo grossolano mescolandoli con il grasso per ottenere delle gallette facili da trasportare durante le loro migrazioni.
Tuttavia la storia del chicco di caffè non sarebbe completa se si tacessero le innumerevoli leggende, frutto, per alcuni, di fatti realmente accaduti. La storia più credibile è senz’altro quella di Kaldi, il pastore dello Yemen. All’alba, decise di partire alla ricerca delle capre che sorvegliava, preoccupato in quanto non vedeva giungerle; le ritrovò agitatissime e piene d’energia. Incuriosito dal loro strano comportamento, le segui notando che le capre sembravano gustarsi i piccoli frutti di un arbusto che cresceva con grande abbondanza nella regione. Kaldi ne raccolse alcuni e li portò al monastero di Chehodet dove, i monaci prepararono un decotto con questi frutti. Stupiti dall’effetto eccitante del liquido che li teneva svegli durante le veglie di preghiera, chiamarono questa bevanda “qahwa” in memoria del sovrano persiano Kavus Kai che sarebbe asceso ai cieli su un carro alato.
Vino d’Arabia
Ci vengono offerte innumerevoli ipotesi a proposito della strada presa dalla pianta del caffè verso il mondo islamico. La prima vorrebbe che alcuni mercanti di schiavi avessero conservato i chicchi delle loro spedizioni in Etiopia. Secondo un’altra, invece, i musulmani che ogni anno si recavano alla Mecca partendo dall’Etiopia avrebbero fatto conoscere il caffè attraverso la “felice Arabia” che riuniva l’Arabia Saudita e lo Yemen.
Il processo di trasformazione del chicco verde in bevanda è anch’esso assai controverso. I racconti dei primi botanici europei rivelano che gli abitanti dell’Etiopia masticavano chicchi di caffè crudo per trarre beneficio dal loro effetto stimolante. Altri scritti raccontano di un vino prodotto dal succo fermentato delle drupe mature. Questo vino, chiamato qahwa in arabo, è il caffè e poiché il Corano vieta l’uso di bevande eccitante allora il caffè fu soprannominato “ vino d’Arabia”. Agli albori il caffè era utilizzato unicamente nell’ambito di cerimonie religiose o su consiglio di guaritori; quando poi si constatarono le virtù della bevanda allora i medici cominciarono a prescriverla per la cura di alcuni mali. Da sostanza terapeutica fino al XV secolo, il caffè continuò il proprio cammino e dalla Mecca raggiunse tutta l’Arabia e poi l’Egitto, la Siria e la Turchia.
L’Europa scopre il caffè
Durante il rinascimento, le grandi scoperte e lo spirito di conquista allargarono bruscamente l’orizzonte e l’Occidente non tarda a sentir parlare del caffè tramite i mercanti che solcano il Mediterraneo e che hanno assaggiato il <vino d’Arabia>.
Sin dall’inizio del XVII secolo, i mercanti veneziani importano i primi caffè, acquistati al Cairo: è l’inizio di un commercio prospero per il Medio Oriente, il quale ne avrà il monopolio per più di un secolo. Tutti i sacchi in partenza vengono controllati: nessun chicco verde prende la via del mare senza esser stato prima tostato o bollito. L’Etiopia e lo Yemen soprattutto, sono gli unici paesi produttori a quel tempo. All’epoca in cui i veneziani ricevono il loro caffè verde, gli olandesi sicuramente molto più attivi sul mercato europeo fondano la Compagnia delle Indie Orientali. In Francia il primo ad introdurre il caffè fu Jean de la Roque nel 1644 a Marsiglia dove, però la bevanda fu considerata da alcuni curiosi troppo scura per i cristiani. La decisione fu lasciata al Papa il quale sedotto dalla bevanda fece tacere i malpensanti. I marsigliesi cominciano a proporre il caffè; il nuovo nettare deve solo convertire Parigi e Luigi XIV. L’ambasciatore di Turchia, inviato in Francia, fa scoprire alla Corte la bevanda del suo paese; essa viene trovata amara così, si pensa di addolcirla con lo zucchero. È l’inizio del grande successo del caffè.
Le metamorfosi del caffè
Ad ogni caffè la sua provenienza, a ogni piantagione i suoi metodi di lavorazione, le sue esigenze di qualità, i relativi rendimenti e i prezzi. Prima della torrefazione, il caffè nasce e si trasforma nella fascia tropicale che circonda l’equatore, tra il tropico del Cancro e il tropico del Capricorno.
La pianta del caffè e le principali specie
La pianta del caffè è un arbusto della famiglia delle Rubiacee. Si sviluppa grazie ad un clima caldo e umido, a basse e medie latitudini. Piantata al riparo dai venti violenti, sarà protetta dalla luce viva del sole grazie all’ombra naturale dei banani o di altri alberi a foglia piantati in prossimità. Per molti anni l’albero non produce alcun frutto e necessita di grandi cure. Dopo circa cinque anni, dà i primi frutti, raggiunge la maturità produttiva in due anni, e continua a produrre per decine d’anni, addirittura fino a cento anni, a condizione di essere sottoposto a cure attente. Non è raro trovare riuniti nello stesso arbusto fiori, frutti verdi e maturi che danno un meraviglioso insieme cromatico bianco, verde, e rosso. La pianta di caffè dà uno o due raccolti principali, a volte dei raccolti secondari, poiché le stagioni variano secondo la specie e il luogo.
Le principali specie coltivate sono la Coffea Arabica Linnè e la Coffea Canephora Pierre.
Coffea Arabica Linnè
È la più antica specie di caffè nota. L’Arabica viene coltivata su altopiani montani o sui fianchi dei vulcani, tra gli 800 e i 1.500 metri d’altezza, a volte anche fino a 2.000 metri. Fiorisce dopo ogni stagione delle piogge. I frutti maturano dopo circa nove mesi. In un anno la pianta di caffè produce meno di 5 Kg di frutti che daranno appena 1 Kg di chicchi. Questa specie esiste in America Centrale e Meridionale e in alcuni paesi africani, come l’Etiopia, il Kenia, lo Zimbabwe e in Oceania, nelle zone caratterizzate da alture. Il suo aroma profumato, il suo gusto delicato, fruttato a volte, acidulo altre, fanno la gioia degli estimatori. L’Arabica rappresenta il 70% del caffè mondiale. Essa è più sensibile alle malattie, ai parassiti e alle gelate, è difficile coltivarla e dunque più costosa. Tra le numerose varietà di caffè Arabica, il Typica e il Bourbon sono famosi e hanno dato vita ad altri ceppi quali il Tico, il Kent, il Moka, il Blue Mountain, il Mondo Nuevo, il Marella per citarne soltanto alcuni.
Coffea Canephora Pierre o Robusta
Questa specie è molto diversa dall’Arabica. Ha un aspetto più robusto e resiste bene al caldo e alle malattie. Attualmente viene coltivata in tutta l’area tropicale, ma la maggioranza proviene dall’Africa occidentale e centrale, dall’Asia sud-orientale e dal Brasile, dove le pianta cresce fino a 700 m.
La Robusta dà un caffè corposo, potente, tonico, ma meno profumato. Meno apprezzato dell’Arabica, essa rappresenta il 30% della produzione mondiale di caffè, sebbene il suo prezzo sia inferiore. Commercialmente la Robusta viene utilizzata nelle miscele dove viene apprezzato il suo carattere forte. Le varietà di caffè Robusta più ricorrenti sono il Cotillon del Brasile, il Giavaineac, all’appellativo di Robusta.
La durata di vita di una pianta di caffè è di una cinquantina d’anni; ma questa vita è minacciata da innumerevoli malattie e/o da parassiti, senza dimenticare le catastrofi naturali.
Le malattie
Una delle malattie più pericolose è la ruggine del caffè, apparsa per la prima volta in africa nel 1860. Essa aveva completamente distrutto l’industria del caffè a Ceylon. La ruggine è fatale per le piante di Arabica, mentre le piante di Robusta, più ricche di caffeina e rame resistono alla malattia, per tale motivo la loro coltura è più estesa. Un’altra minaccia è presentata dai coleotteri che si stabiliscono nei tronchi creando gallerie e provocando danni enormi; infine le formiche rosse e le cimici colpiscono fiori e frutti. Una tecnica per salvaguardare l’integrità dell’arbusto è l’ibridazione che consiste nell’incrociare una varietà sensibile ad un insetto e/o una malattia con un’altra varietà naturalmente resistente; ciò può diminuire le perdite ma non bloccare i flagelli comuni a tutte la varietà di caffè.
Il raccolto e la lavorazione della drupa
La raccolta
Il momento del raccolto varia in funzione del rilievo, della piantagione e del clima. Quando le drupe(la drupa o ciliegia è il frutto della pianta di caffè) sono mature, devono essere raccolte quasi immediatamente, cosa per niente facile, quando sulla pianta sono presenti frutti con stadi di maturazione diversi. I raccoglitori procedono in vari modi;
• Il picking: è il procedimento più costoso. Consiste nel raccogliere le drupe mature all’interno della piantagione in modo manuale e singolarmente, secondo il loro stadio di maturazione. Il raccoglitore si lega in vita un paniere nel quale depone i frutti. Utilizzando questo metodo sono necessarie abilità e destrezza. La frequenza dei passaggi tra gli arbusti varia da paese a paese: in Kenia sono necessari sette passaggi l’anno. In Giamaica, per la Blue Mountain, il raccoglitore deve passare ogni qualvolta è necessario. Il picking permette un raccolto più omogeneo.
• Lo stripping: il raccoglitore stringe il ramo con due dita e fa cadere tutte le drupe, mature e non. Il rendimento sarà buono, ma il caffè di qualità inferiore a causa della differenza di maturazione delle drupe.
Il terzo metodo consiste nel passare tra i rami un grande pettine speciale con i denti morbidi che semplicemente staccherà le drupe mature salvaguardando le drupe verdi e le foglie. Altre raccolte avvengono meccanicamente nelle grandi piantagioni di pianura, come in Brasile. Esistono delle macchine che scuotono leggermente la pianta per staccarne le drupe mature che saranno raccolte in grandi coppe.
La drupa del caffè
Prima di giungere al chicco di caffè che tutti noi conosciamo, bisogna superare alcune tappe. Una volta terminata la fecondazione, il fiore della pianta di caffè si secca rapidamente e cade per lasciare spazio al frutto. Esso somiglia ad una ciliegia per forma e colore. La drupa inizia lentamente a prendere forma e finirà di crescere in un periodo compreso tra gli otto e i dodici mesi, secondo la propria specie d’appartenenza. Il colore verde, diverrà progressivamente un rosso vivo e, una volta matura, granata. Sotto la buccia si nasconde la polpa, il cui tasso di umidità è pari al 70%. Una volta eliminata la polpa, appaiono due chicchi, incollati l’uno all’altro. Essi sono protetti da un involucro rigido: il pergamino. Per arrivare al chicco verde protetto da una pellicola molto sottile, bisognerà effettuare un’ultima operazione: la decortificazione. A volte le piante di caffè producono drupe più piccole che contengono un unico chicco che prende il nome di caracoli. Esso non ha un lato piatto e per questo molto ricercato dai torrefattori in quanto avrebbero molto più aroma per la loro concentrazione in un unico chicco.
La lavorazione
Le drupe raccolte vengono selezionate una prima volta per eliminare le foglie, gli scarti vegetali e le drupe rovinate. Si può allora iniziare il trattamento delle drupe per estrarre i chicchi di caffè.
I metodi
• Il metodo a secco – Le drupe vengono suddivise e poste in aree di essiccazione; si lascia che il calore del sole secchi la polpa. Progressivamente con l’evaporare dell’acqua, sparisce la pectina e si ottiene il caffè in <pergamino>. Sarà poi trasferito in una macchina che libererà la drupa dalla polpa indurita e dal pergamino, per poi giungere al chicco di caffè verde che sarà selezionato, calibrato e insaccato.
• Il metodo in umido – Questo sistema è estremamente più costoso a causa della necessità di materiale, manodopera , tempo e acqua, ma i risultati sono decisamente migliori rispetto al metodo a secco. Le drupe appena raccolte vengono trattate in una macchina spolatrice caratterizzata da un getto d’acqua che elimina la polpa stessa; in seguito vengono immerse in grandi vasche di fermentazione, dove viene distrutto il resto della polpa. Lavati abbondantemente, i chicchi ricoperti dal pergamino sono lisci e puliti; ora rimane da essiccarli procedendo come per il metodo a secco. Bisogna essere attenti, poiché un’essiccazione eccessiva può renderli fragili e una insufficiente li espone alla fermentazione e quindi allo sviluppo di funghi e batteri. Il caffè è messo poi in sacchi di juta o di sisal prendendo poi la via della sua destinazione finale: la torrefazione. Senza quest’ultima, il caffè non esiste; è l’operazione basilare che fa sì che il chicco verde giunga alla sua ultima trasformazione, fisica e chimica, e ottenga il caratteristico colore ambrato. Nella vecchia Europa e negli Stati Uniti, i torrefattori sono stati inizialmente semplici artigiani; oggi, le torrefazioni cittadine tostano il caffè una o due volte a settimana, in cilindri da torrefazione la cui capacità è di circa 12 kg. Le torrefazioni industriali, invece, utilizzano macchinari che spingono aria calda su grandi quantità di caffè verde e lo tostano regolarmente fino in fondo. La torrefazione è un’operazione estremamente delicata: il suo principale effetto sarà quello di sviluppare il profumo del caffè tramite complesse modificazioni chimiche provocate dal calore.
Il metodo di torrefazione tradizionale
Il caffè verde è introdotto in un cilindro rotante riscaldato a una temperatura che varia dai 100 ai 250°C. Grazie ai piedini fissi, è continuamente rimescolato; la torrefazione durerà circa venti minuti, secondo la colorazione desiderata. Il momento critico sopravviene quando i chicchi cominciano a crepitare e a scurirsi; a questo punto l’uomo sostituisce la macchina e quando lo ritiene opportuno apre le valvole: il caffè bollente viene fatto precipitare nel raffreddatore, un ampio recipiente orizzontale. Il fondo è costituito da una lamiera perforata da dove proviene un soffio molto potente che raffredda il caffè molto velocemente allo scopo di fissare le sostanze aromatiche tramite una brusca condensazione. Esso viene infine raffreddato all’aria aperta e diretto verso i silos di imballaggio. La lentezza del procedimento è considerata l’unico mezzo per conservare tutta la raffinatezza degli Arabica e per cuocere i chicchi fino al cuore.
Esistono altri due metodi di torrefazione: il primo è un metodo rapido che richiede dieci minuti e l’altro ancora più rapido che richiede novanta secondi soltanto, ma la qualità del caffè ci rimette.
Conoscere il caffè
I principali paesi produttori
Primo tra i produttori di Arabica e secondo produttore di Robusta, il Brasile occupa una posizione di leader indiscusso da più di un secolo, con due milioni di ettari di terreni coltivato a caffè, soprattutto nello stato del Minas Gerais e nella regione di San Paolo.
Sin da 1900, il regolare sorgere di crisi dovute alla sovrapproduzione a volte ha condotto alla distruzione delle eccedenze. Ancor oggi il Brasile resta il primo produttore di caffè con 1.600.000 tonnellate. Si tratta del grande indicatore di tendenza dei prezzi: basta una catastrofe climatica, come il gelo – e succede ogni quindici o venti anni – perché i corsi mondiali del caffè salgano bruscamente alle stelle. Oggi l’85% delle piantagioni brasiliane forniscono Arabica, che rappresenta quasi un terzo della produzione mondiale. Le altre nazioni in cui viene prodotto l’Arabica sono la Colombia, secondo produttore mondiale con 800.000 tonnellate, il Messico, il Guatemala, il Costa Rica e l’Honduras che forniscono al mondo intero i caffè più famosi.
La coltura del caffè è ben presente anche nelle Antille: in Giamaica, sulle pendici del vulcano Saint John’s Peak cresce il mitico Blue Mountain.
In Africa, l’Etiopia, il Kenia e lo Zimbabwe occupano posizioni di rilievo tra i produttori di Arabica. L’Asia è dedicata piuttosto alla coltivazione di Robusta, ad eccezione dell’India, le cui terre del Karnataka, nella parte sud-occidentale del paese, producono sia l’Arabica sia il Robusta. Si trovano caffè notevoli anche nelle isole del Pacifico, come le Hawaii, o in Papuasia-Nuova Guinea. Il primo paese produttore di Robusta è l’Indonesia che soddisfa circa il 20% della domanda mondiale.
Il Vietnam, giunto tardi tra i coltivatori di caffè, nel 2000 ha prodotto quasi 900.000 tonnellate di un caffè degno di rispetto e più regolare in confronto al caffè prodotto dai suoi vicini.
L’Africa nera, tradizionale fornitore di Robusta corposi di media qualità, si è fatta superare poco a poco: la Costa d’Avorio, l’Uganda e il Camerun producono caffè a buon prezzo, spesso fondamentali per l’equilibrio economico della regione; basta pensare che il caffè rappresenta più del 90% della bilancia commerciale dell’Uganda.
Sulla strada dei caffè pregiati
Se la stragrande maggioranza dei consumatori si accontenta di miscele, a volte sottili, spesso ordinarie, tra i numerosi tipi di caffè censiti al mondo, ne esistono alcuni eccezionali, che meritano di essere consumati puri. Tra essi il Blue Mountain giamaicano, vero “caviale” del caffè. Esso è stato importato dalla Martinica nel 1728 da un inglese, sir Nicholas Lawes. Localizzate nella parte orientale dell’isola di Giamaica, le piantagioni di Blue Mountain crescono a 2.000 metri d’altezza, all’ombra degli alberi di avocado e dei banani, su un terreno vulcanico favorevole alla coltura delle grandi piante da caffè: condizioni favorevoli che spiegano le qualità di questo caffè i cui chicchi sono leggermente bluastri, il sapore è finemente acidulo e cioccolattoso, gli aromi fruttati e il corpo è leggero. Questi chicchi rari sono conservati in fusti di legno da 70 kg., imballaggio unico che sostituisce il tradizionale sacco di juta. Poiché la domanda supera l’offerta – ne vengono prodotte soltanto 170 tonnellate l’anno – i prezzi raggiungono cifre da capogiro, per niente dissuasive per i giapponesi che, ogni anno, acquistano quasi il 90% della produzione. Per quanto riguarda il Kona delle Hawaii, esso costa la metà del rivale giamaicano, ma secondo alcuni lo sorpasserebbe per il sapore leggermente acidulo e per l’aroma soave.
In Guatemala si trova il San Cristobal, l’Antigua, al sapore di cioccolato, e il Coban, aciduli e allo stesso tempo corposi. In Messico, invece, vengono coltivati il Custepec, l’Altura, il Chiapas Tatachula e il Maragogipe, i cui chicchi giganteschi danno i migliori risultati quando sono coltivati sulle pendici che dominano l’oceano Pacifico. In Costa Rica, paradiso degli estimatori del buon caffè, cresce il Tournon, caffè denso e profumatissimo che coniuga insieme corpo e aroma, derivato dai terreni vulcanici; in Salvador, il Pacas o il Pacamara e in Nicaragua, il Patagalpa o lo Jinotega. In America Meridionale si recitano unicamente le virtù del supremo colombiano, un Arabica lavato, di tipo Bourbon, dal gusto soave e leggermente acidulo; in Africa, la culla del caffè, ricordiamo il Sidamo d’Etiopia, dal gusto selvaggio, e il Kenya, classificato AA, con un prezzo esorbitante, acido e fruttato, tra i più raffinati Arabica del mondo.
Le miscele
L’elaborazione delle miscele di Arabica o di Arabica e Robusta, in seno a un’azienda di torrefazione, è un lavoro d’équipe e di pazienza, poiché lo scopo è quello di ottenere permanentemente un prodotto il cui carattere è particolare e costante. Come nell’arte della profumeria, dove c’è l’abitudine di adoperare il naso, la caffeologia ricorre alle papille gustative.
Ogni tipo di caffè ha caratteristiche proprie: miscelando armoniosamente gli svariati sapori e gli aromi diversificati di parecchi di essi, partendo da un puro di origine relativamente neutro si otterrà l’aroma ricercato. Il miscelatore procederà aggiungendo piccole quantità di caffè di provenienza diversa che sottoporrà poi al giudizio dei degustatori, tenendo sempre presente l’aspetto finanziario relativo al prodotto futuro, in modo da raggiungere il miglior rapporto qualità-prezzo-gusto.
La discrezione della fabbricazione lo richiede: la composizione finale delle miscele realizzate dai gustatori è chiaramente mantenuta segreta. Tuttavia resteranno sempre in vendita miscele di Robusta-Arabica meno saporite dell’Arabica puro, in modo da venire incontro a tutte le tasche, ricordando sempre che una miscela di qualità sarà proposta a un prezzo più alto.